Con la pubblicazione della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) il legislatore italiano, nell’intento di fornire una spinta all’economia nazionale, adottò un meccanismo di aiuti concreti alle piccole e medie imprese, che tanta rilevanza hanno nel tessuto economico della nazione, attraverso la creazione di un Fondo di Garanzia pubblica.
Lo strumento di agevolazione ideato in quell’occasione (ma entrato in funzione solo nel 2000) ha consentito nei quasi 25 anni di vita a moltissime piccole imprese, con difficoltà di accesso al credito, di superare momenti di difficoltà finanziarie ed ha dimostrato che l’intento della legge di rappresentare un sostegno concreto per lo sviluppo delle realtà imprenditoriali di dimensioni ridotte, è stato in gran parte raggiunto.
Nello specifico l’accesso al credito venne assicurato attraverso il rilascio, in aggiunta o in sostituzione di garanzie private, di una garanzia dello Stato a fronte di finanziamenti concessi dalle banche o da altri intermediari finanziari.
Venne previsto che l’intervento di garanzia del Fondo fosse concesso fino ad un massimo dell’80% del finanziamento e per importo massimo di 2,5 milioni di euro, anche attraverso più operazioni. Nel tempo questi parametri si sono incrementati in funzione di evenienze particolari come, ad esempio, nella ipotesi del decreto legge 8 aprile 2020 n. 23 (cd Decreto liquidità) per favorire l’accesso al credito delle imprese nella fase di crisi causata dall’emergenza Covid.
La rilevanza ed il successo della iniziativa ha indotto più recentemente lo Stato a potenziare la portata del Fondo di Garanzia mediante lo snellimento delle procedure, accorciamento dei tempi ed allargamento della platea degli aventi diritto
Nonostante la rilevanza del ruolo assunto dal Fondo è opportuno chiarire che quest’ultimo non interviene nella fase degli accordi di finanziamento i cui dettagli restano appannaggio del beneficiario e dell’intermediario finanziario.
Elemento determinante rispetto al fenomeno che ci accingiamo a rilevare è costituito dall’introduzione del terzo comma dell’art. 8bis del d.l. n. 3 del 2015, convertito dalla legge n. 33 del 2015 il quale stabilisce quanto segue: “Il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’articolo 2751-bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di prelazione spettanti a terzi. La costituzione e l’efficacia del privilegio non sono subordinate al consenso delle parti. Al recupero del predetto credito si procede mediante iscrizione a ruolo, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e successive modificazioni“.
In precedenza l’attribuzione del privilegio al credito da surrogazione derivante dalla escussione della garanzia era alquanto dubbia, fondata, come era, su norme che non fornivano alcuna certezza di riferibilità alla fattispecie di cui alla legge 662/96, posto che il privilegio può essere stabilito solamente dalla legge. Si riteneva da qualcuno invocabile l’art. 9, comma 5, d. lg. 123/98 o l’art. 15 legge 266/97 integrato dai decreti del Ministro delle Attività Produttive del 20.06.2005 e del 23.09.2005, nonché del decreto MISE del 23.11.2012 (decreti che, peraltro, si limitavano a richiamare il ricorso alla procedura esattoriale per la riscossione del credito).
Dal 2015 in poi, quindi, è risultato indiscusso che per il solo fatto che, a seguito di inadempimento del debitore principale, sia esercitata dalla banca finanziatrice la facoltà di ottenere il pagamento dell’importo garantito dal Fondo, lo stesso debitore principale o i propri garanti privati vedono modificarsi la natura del proprio debito da chirografario a privilegiato.
Tale fenomeno (certamente anomalo rispetto ai meccanismi normali di coincidenza temporale tra insorgenza del debito e causa del privilegio) diventa rilevantissimo per la generalità dei creditori ogni qualvolta questi ultimi vedono compromettere il principio della par condicio. Il campo di gioco è quello delle procedure concorsuali dove l’intervento del gestore della Garanzia Pubblica può apportare una significativa alterazione nelle attese di graduazione dei crediti nei riparti.
Peraltro la proliferazione negli ultimi anni del ricorso alla garanzia pubblica, anche in virtù delle esigenze di liquidità del periodo Covid, ha incrementato la lista di quelle numerose piccole imprese che hanno visto esaurirsi i benefici dei finanziamenti agevolati e che si ritrovano ad affrontare nuovamente la scarsità di risorse finanziarie sfociando sempre più spesso nelle procedure concorsuali.
E’ appunto in quest’ambito che sta serpeggiando una forma di reazione ad un evento che viene vissuto come anomalo, se non antigiuridico, attraverso il tentativo da parte degli organi concorsuali di contrastare l’ammissibilità di questi crediti e l’influenza che il carattere privilegiato può comportare.
C’è anche da precisare che una delle condizioni per poter validamente escutere la garanzia pubblica, in caso di sottoposizione dell’impresa debitrice a procedura concorsuale, consiste nell’attivazione corretta dell’istanza di ammissione o di riconoscimento del credito garantito. Ciò significa che nella generalità dei casi si assiste prima all’ammissione del credito chirografario a nome della banca finanziatrice-creditrice e poi all’intervento in surroga da parte della società che gestisce il Fondo, dopo l’avvenuto pagamento della quota escussa.
Sembra quasi naturale che, per arginare il fenomeno si è portati a tentare di negare la stessa ammissione del credito di base in via chirografaria. Questa considerazione nasce dalla constatazione di una impennata della statistica dei casi di non ammissione dei crediti che si presentano come assistiti dalla agevolazione della garanzia pubblica, pur in presenza della regolarità formale del titolo e/o della opponibilità.
Proprio tale apparente regolarità sta alimentando un’altra statistica in aumento ed è quella legata alle motivazioni del rigetto dell’ammissione. Fioriscono in questo momento storico provvedimenti di rigetto per concessione abusiva del credito ovvero per cooperazione delle banche allo stato di dissesto dell’impresa finanziata e compensazione del credito con dei danni al ceto creditorio. Anche la valutazione del merito creditizio all’atto della concessione del finanziamento viene sottoposto a verifiche più stringenti al fine di individuare ulteriori motivi di impedimento alla ammissione.
Le conseguenze di tali propensioni sono evidenti e determinano in via immediata un momento di stallo delle ammissioni delle banche, nonché l’aumento delle opposizioni allo stato passivo ed in futuro porterà molto probabilmente il proliferare di controversie tra le banche finanziatrici e la banca che gestisce il Fondo Pubblico a seguito di possibili richieste di rimborso delle erogazioni.
Insomma il meccanismo di incentivazioni che per tanti anni ha retto bene ed ha svolto con efficacia la funzione per la quale era stata creata (qualcuno dice che si è trattato di “aiuti di stato” camuffati) si è deteriorato proprio a seguito del suo incrementato e massiccio utilizzo, reso necessario in parte dalle motivazioni di circolazione di liquidità connesse al periodo COVID.
Forse bisognerebbe che il legislatore rivedesse qualche ingranaggio e modulasse il regime dei privilegi.
Nel frattempo tra esigenze generali di aiuto alle PMI, che impone facilitazioni all’accesso al credito, e anomalie giuridiche, che non facilitano il recupero delle somme finanziate, sono le casse dello Stato a soffrirne gli effetti in prima battuta, ma in tempi più dilatati saranno probabilmente le banche a ricevere un boomerang di ritorno.
16 maggio 2024 Avv. Gennaro Iollo