Il contratto di mutuo ipotecario, in cui le somme erogate vengono contestualmente vincolate e depositate presso la banca mutuante, non costituisce titolo esecutivo. Commento alla sentenza di Cassazione n. 12007 del 3 maggio 2024

Giu 3, 2024

Nell’innovativa e recentissima sentenza della Terza Sezione Civile, relatore dott. Augusto Tatangelo, è stato emesso il seguente principio di diritto:

nel caso in cui venga stipulato un complesso accordo negoziale in cui una banca concede una somma a mutuo e la eroghi effettivamente al mutuatario (anche mediante semplice accredito, senza consegna materiale del danaro), ma, al tempo stesso, si convenga altresì che tale somma sia immediatamente ed integralmente restituita dal mutuatario al mutuante (e se ne dia atto nel contratto) , con l’intesa che essa sarà svincolata in favore del mutuatario stesso solo al verificarsi di determinate condizioni, benchè debba riconoscersi  come regolarmente  perfezionato un contratto reale di mutuo, deve però escludersi, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., che dal complessivo accordo negoziale stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale in capo al mutuatario, di restituzione della somma stessa (che è già rientrata nel patrimonio della mutuante), in quanto tale obbligazione sorge – per volontà delle parti stesse – solo nel momento in cui la somma in questione sia successivamente svincolata in suo favore ed entri nuovamente nel suo patrimonio; di conseguenza, deve altresì escludersi che un siffatto contratto costituisca, da solo, titolo esecutivo, essendo necessario un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) che attesti l’effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, solo in seguito a quest’ultimo risorgendo, in capo a questa, l’obbligazione di restituzione di quella somma».

In concreto la Corte ha inteso dare una svolta al sistema (da tempo in uso per evitare la formazione di un contratto di mutuo condizionato e di un successivo atto definitivo), di inserire in un unico atto anche la quietanza delle somme erogate e di condizionare la concreta apprensione delle somme solo a completamento degli adempimenti successivi e, soprattutto, al consolidamento dell’ipoteca, posta a garanzia. Per attuare tale indispensabile obiettivo in genere le somme (entrate nella disponibilità del mutuatario) rientrano nelle casse del mutuante, ma restano nella disponibilità della banca mutuataria attraverso la costituzione di un vincolo con l’intesa che esse saranno liberate al momento della realizzazione della condizione.

La decisione della Suprema Corte è rilevante in quanto sposta la problematica non sul perfezionamento del contratto reale di mutuo (che anche in caso di adozione del meccanismo sopra ricordato viene pienamente riconosciuto), ma sulla caratteristica di titolo esecutivo dell’unico atto, che invece è stata dalla Corte negata.

Nella logica di tale decisione, anche se non espresso chiaramente, occorre presupporre che i due negozi (mutuo e deposito) vengano considerati in maniera unitaria. Essi farebbero parte di un’unica realtà negoziale il cui sviluppo complessivo termina con una obbligazione non adempiuta e che richiederebbe, a sua volta, un’ulteriore attività negoziale per legittimare, con il dovuto crisma della forma, la configurazione del titolo esecutivo.

Il fatto è che tale logica non appare convincente e la motivazione della sentenza non spiega fino in fondo la ragione della scelta.

Le argomentazioni della sentenza, infatti, si limitano a rilevare che dal momento che (nella specie esaminata) l’atto pubblico conteneva ulteriori pattuizioni tra le parti, oltre la mera stipulazione del contratto di mutuo, “la Corte di Appello non avrebbe dovuto limitarsi ad accertare il regolare perfezionamento, l’esistenza  e la validità del contratto di mutuo, ma avrebbe dovuto verificare se, sulla base del complessivo rapporto negoziale posto in essere dalle parti ed emergente dall’atto pubblico fatto valere come titolo esecutivo, sussistesse o meno una obbligazione attuale di pagamento ad una somma di danaro a carico della della società mutuataria ed a favore della banca mutuante, come richiesto dall’art. 474 c.p.c., ovvero se l’eventuale obbligazione della suddetta società mutuataria non fosse attuale, in quanto essa sarebbe sorta solo al verificarsi di determinate condizioni, successive alla stipulazione ed estranee ai documenti in base ai quali il mutuo era stato – pure correttamente – ricostruito come concluso”,

Gli ulteriori rilievi che la decisione utilizza per supportare il proprio convincimento si sostanziano nell’analisi della natura del “deposito irregolare” che, come è noto, fa acquistare al depositario la proprietà della somma di denaro depositata (art. 1834 c.c.), con obbligo di quest’ultimo di restituirla nella stessa specie monetaria: tale obbligo, attuato attraverso lo “svincolo” della somma depositata “risulta subordinato al verificarsi di talune condizioni indicate nello stesso contratto di mutuo (sostanzialmente, il consolidarsi della garanzia ipotecaria, nonché le altre condizioni specificamente indicate).  Dunque, lo “svincolo” della somma concessa in mutuo ma immediatamente depositata presso la banca mutuante e, quindi, rientrata nel patrimonio della stessa, richiedeva un successivo atto volontario di quest’ultima, che determinasse il nuovo trasferimento della sua proprietà in favore della parte mutuataria, affinché sorgesse l’obbligazione di restituzione di essa a carico di quest’ultima”.

La sentenza precisa ancora che, nella descritta situazione, lo “svincolo della somma mutuata (vale a dire, il nuovo trasferimento della proprietà di tale somma, già erogata alla parte mutuataria, ma subito da questa ritrasferita alla banca, mediante il suo ri-accredito su un conto nella libera disponibilità della mutuataria) è da ritenersi certamente obbligatorio, al verificarsi delle condizioni previste, secondo gli accordi negoziali trasfusi nell’atto pubblico. Ma, altrettanto certamente, fino a tale momento, non solo sulla parte mutuataria non può ritenersi gravare alcuna obbligazione di restituzione della predetta somma, che si trova in realtà già nel patrimonio giuridico della banca, ma, addirittura, al contrario, è la banca che risulta obbligata (al verificarsi delle condizioni convenzionalmente previste) a trasferirla alla mutuataria. Stando così le cose, non possono considerarsi decisive, ai fini della risoluzione della questione posta nella presente controversia, le considerazioni sulla equipollenza delle forme alternative di trasferimento della disponibilità del denaro dato in mutuo.  A tal fine, avrebbe dovuto, in primo luogo, accertare chi era il soggetto che, in base a tutte le pattuizioni negoziali contenute nell’atto pubblico, avesse la effettiva “disponibilità” in concreto di quella somma, e nel cui patrimonio, quindi, tale somma si trovava, al momento della conclusione di quell’atto pubblico.  Laddove, come risulta evidente in base al contenuto della complessiva regolamentazione negoziale in questione, fosse emerso che la somma mutuata, dopo essere entrata nel patrimonio della mutuataria, era stata immediatamente ed integralmente (ri)trasferita alla mutuante mediante il suo deposito (irregolare) ed era pertanto tornata, dal punto di vista giuridico, nel patrimonio di quest’ultima, la corte territoriale avrebbe dovuto concludere che la sussistenza di una obbligazione attuale di restituirla alla banca era subordinata al preventivo svincolo del deposito in suo favore (e ciò, quindi, non semplicemente valutando se si era perfezionato il contratto di mutuo, ma in base al più ampio e complesso rapporto negoziale emergente dall’atto pubblico stipulato dalle parti).  Se avesse accertato che, fino al momento dello “svincolo” della somma depositata, di questa poteva disporre esclusivamente la banca, poiché la circostanza di fatto dell’avvenuto svincolo certamente non emerge direttamente dall’atto pubblico, ma richiede l’accertamento di un fatto ulteriore, non consacrato in detto atto, avrebbe dovuto escludere che il contratto notarile utilizzato come titolo esecutivo fosse, di per sé, tale, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., in quanto da solo non sufficiente a costituire fonte dell’obbligazione azionata e avrebbe, pertanto, dovuto verificare se vi era un atto integrativo che attestasse l’effettivo svincolo della somma mutuata in favore della società mutuataria, dotato anch’esso della necessaria forma richiesta dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata). In mancanza, avrebbe dovuto accogliere l’opposizione, negando al mero atto pubblico notarile posto alla base del precetto opposto valore di titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c., per insussistenza di un’attuale obbligazione di restituzione di somme di denaro”.

Abbiamo riportato quasi integralmente la motivazione della decisione per far comprendere come l’intera costruzione si regga su due punti principali (unicità del regolamento negoziale e necessità di un “atto integrativo”) che, però, a nostro avviso, da un lato non sono supportati da adeguato approfondimento e, dall’altro, possono assumere una configurazione molto diversa da quello che la Cassazione adotta.

In relazione alla prima questione e considerato che la sentenza fonda il proprio convincimento sulla base della esistenza di più pattuizioni, si rileva che l’intera motivazione non prende in alcuna considerazione la problematica relativa alla individuazione della tipologia di contratto plurimo tra i tanti che la casistica propone (misto, complesso, innominato, atipico, contratti collegati funzionalmente o geneticamente), necessaria invece per pervenire alla individuazione della disciplina, unitaria o differenziata, applicabile.

La constatazione che nello stesso atto sono presenti in effetti due negozi avrebbe reso necessario svolgere alcune analisi preliminari, quali la valutazione sulla natura e tipologia del negozio o dei negozi che integrano la fattispecie in esame nonché la unitarietà o meno della causa e la identificazione dei fattori eventuali di interdipendenza o di subordinazione tra due o più diversi schemi negoziali tipici o atipici.

Tralasciando le varie ipotesi di configurazione dell’una o dell’altra tipologia e i vari elementi distintivi, ciò che andrebbe in sostanza riguardato resta la verifica della esistenza di una causa unica, originaria ed autonoma, la sola che legittimerebbe la configurazione di un contratto misto o di un contratto atipico.

Ma è proprio la certezza della mancanza, nella fattispecie, di una causa autonoma, nuova e originaria (intesa quale scopo tipico e funzione sociale, nell’accezione oggettiva ed astratta prevista dall’ordinamento) a fornire le ragioni della esclusione di individuazione nella specie di un contratto misto o innominato o atipico.

Piuttosto la configurazione che maggiormente sembra attinente alla fattispecie è quello della esistenza di un semplice collegamento tra due negozi (mutuo e deposito irregolare).

Tale figura si rinviene in quei casi in cui le parti di fatto perseguono un risultato economico ed uno scopo unitario mediante una pluralità di negozi, finalizzati ad un unico assetto o obiettivo degli interessi, ma con mantenimento ciascuno della propria causa. Il collegamento, in altri termini, dipende dal nesso di interdipendenza che si viene a creare per effetto dell’obiettivo di raggiungere un unico scopo finale.

Sul piano della disciplina di funzionamento e su quello patologico, in ossequio al  fatto che la scelta di pervenire ad un unico risultato finale è volontario e non tipizzato, ci sentiremo di escludere il ricorso alla teoria dell’”assorbimento” (secondo la quale il regime da applicare sarà quella della figura prevalente) in quanto non giustificata da alcuna necessità di disciplina unitaria, a favore della teoria della “combinazione” (secondo la quale a ciascuna parte contrattuale dovrà applicarsi il regime che le è proprio).

Alla luce di una siffatta ricostruzione (ma non si escludono altre attendibili tesi) ne conseguirebbe la piena validità ed il rispetto del requisito della forma ex art. 474 c.p.c., del contratto di mutuo (che si ferma al momento della erogazione). La disciplina del collegato negozio di deposito irregolare segue invece altri criteri, anche di forma (alla stessa stregua peraltro di come avverrebbe se i due contratti fossero sottoscritti non contestualmente) senza alcuna necessità di rivestire la stessa forma del primo negozio.

Il secondo profilo posto in evidenza dalla sentenza riguarda la formazione di un atto integrativo, da redigere (nella stessa forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata) al momento dello svincolo.

In concreto, come detto, la sentenza imporrebbe il vecchio meccanismo, non esente da eccessivi costi e lungaggini, realizzabile attraverso la stipula di due atti, di cui il primo condizionato e il secondo definitivo, attuativo, quest’ultimo, della caratteristica della realità.

Tuttavia, a prescindere di quanto prima affermato in ordine alla esistenza di un semplice collegamento negoziale, anche in questo caso la Suprema Corte non rivolge in alcun modo la propria attenzione al concetto di “condizione” ed alla sua rilevanza, anche formale, ove inserita in un unico atto pubblico o autenticato da notaio.

Ove, infatti, l’efficacia differita del contratto è voluta dalle parti ed inserita nell’atto munito di forma adeguata, non vi è dubbio che la verifica dell’elemento posto a base della condizione (a meno che non si tratti di una condizione meramente potestativa), non attiene e non dipende da un’ulteriore manifestazione di volontà, ma dallo stesso venire ad esistenza dell’evento, che per sua natura di “fatto” non ha bisogno e non può rivestire una forma piuttosto che un’altra. Basta, a questo punto, perché il contratto diventi efficace dare la dimostrazione dell’avvenuto verificarsi dell’evento dedotto in condizione.

Addirittura nel caso di apposizione di una condizione risolutiva l’atto unico sarebbe perfetto fin dall’origine, ma atteso lo scopo che la condizione si prefigge (garanzia in sostanza di uno svincolo solo dopo il consolidamento dell’ipoteca) occorre necessariamente considerare che il meccanismo insito nell’unico contratto può prevedere solo una condizione sospensiva, ma non per questo meno legittima.

Questi e, forse, altri profili critici, in conclusione, la sentenza della Cassazione offre, ma é certo che essa alimenterà non poche controversie e potrebbe comportare non pochi problemi anche nelle procedure esecutive già in corso. Vedremo come si comporteranno i giudici di merito.

Avv. Gennaro Iollo