L’art. 38 del Testo Unico Bancario (Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.) dispone al primo comma che “il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” ed al secondo comma che “la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti.”
A sua volta la Banca d’Italia, in conformità alla delibera del CICR del 22 aprile 1995, con il provvedimento del 26 giugno 1995 ha previsto che “Le banche possono concedere finanziamenti di credito fondiario per un ammontare massimo dell’80 per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi, ivi compreso il costo dell’area o dell’immobile da ristrutturare”. Il limite massimo dell’80% può essere elevato al 100% in presenza di garanzie integrative, e, nei casi di finanziamenti concessi su immobili già gravati da precedenti iscrizioni ipotecarie, l’importo finanziabile deve essere determinato sommando al nuovo finanziamento il capitale residuo di quello precedente.
La questione che negli anni la giurisprudenza ha dibattuto riguardava gli effetti che il superamento del detto limite comportava sul contratto di mutuo fondiario (ovverosia se fosse o meno applicabile l’art. 117 TUB con relativa sanzione di nullità).
I contrapposti schieramenti, con le rispettive argomentazioni giuridiche, sono ben esposti dalla sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che sembra aver posto fine al dibattito.
La questione, ritenuta di particolare rilevanza, era stata rimessa alle Sezioni Unite dalla Prima Sezione della Cassazione con l’ordinanza interlocutoria del 9 febbraio 2022, n. 4117.
Un primo deciso orientamento sulla ipotesi di nullità in caso di superamento del limite fu quello proposto dalla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 26672 del 2013 (conformi Cassazione n. 27380 del 2013, n. 22446 del 2015, n. 13164 del 2016). Con detto provvedimento fu escluso che la previsione del limite di finanziabilità di cui all’art. 38, co. 2, t.u.b. potesse rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 117, co. 8, t.u.b. L’eventuale violazione del limite non sarebbe rilevante in quanto norma inderogabile sulla validità del contratto, ma solo come norma di buona condotta comportante, ove non osservata, l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario e/o eventuali responsabilità. Insomma un mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti di cui all’art. 38, co. 2, t.u.b. non sarebbe nullo per contrarietà a norme imperative.
Il pensiero della precedente decisione delle Sezioni Unite si rispecchia nel seguente principio di diritto:
“la violazione della norma, pur se imperativa, scaturente dall’art. 38, comma 2, t.u.b. è insuscettibile di provocare la nullità del contratto, non incidendo sul sinallagma contrattuale e, quindi, non concernendo la validità dello stesso, ma investendo esclusivamente il comportamento della Banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale ivi stabilito”;
“il rispetto del limite del finanziamento non risulta essere una circostanza rilevabile dal contratto, in quanto l’accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell’immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto”;
“la ratio della nuova normativa sul credito fondiario per un verso tende a favorire il ricorso al mutuo fondiario nell’interesse degli imprenditori e, dall’altro, si propone di meglio garantire e tenere indenni le banche che effettuano siffatte operazioni finanziarie con una serie di norme quali, ad esempio, quella sulla revocabilità in sede fallimentare delle ipoteche sottoposta ad un brevissimo termine di dieci giorni”;
il limite di finanziamento dei mutui fondiari è una “norma volta ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio”;
“essendo il limite di erogabilità del mutuo ipotecario stabilito anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale della banca erogante, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato ed il venire meno della connessa garanzia ipotecaria condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere“.
Nonostante tali precise indicazioni la giurisprudenza di legittimità successiva aveva affermato un orientamento diverso (capofila di tale inversione è costituita dalla sentenza della Cassazione n. 17352 del 2017, seguita da decisioni conformi n. 19016 del 2017, n. 6586, 11201, 13286 e 29745 del 2018, n. 10788 del 2022). Il diverso orientamento, pur condividendo il concetto della non riconducibilità dell’art. 38, co. 2, t.u.b. alla nullità di cui all’art. 117, co. 8, t.u.b., ha considerato tuttavia che la prescrizione del limite massimo di finanziabilità da parte della Banca d’Italia “si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi “fondiario”. In effetti la norma risponderebbe alla regolamentazione dettata da obiettivi economici generali non essendo volta a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma, perseguendo interessi economici nazionali (pubblici), ad esso “è correlato il trattamento di favore accordato alla banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, sul versante del consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria (art. 39 del T.u.b.) e della peculiare disciplina del processo esecutivo individuale attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41)”.
Tale ultimo orientamento non avendo dubbi sulla natura imperativa dell’art. 38, co. 2, t.u.b., riteneva che il limite di finanziabilità costituisse un elemento inderogabile all’autonomia privata da cui deriverebbe, in caso di superamento, “la nullità dell’intero contratto fondiario” con possibilità di conversione, ai sensi dell’art. 1424 c.c. e su istanza di parte, in un contratto diverso (mutuo ordinario).
La questione è ritornata all’attenzione delle Sezioni Unite in seguito, come detto, all’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione n. 4117 del 2022, che ha riaffrontato la problematica rilevando alcune criticità del corrente orientamento e sollecitandone un ripensamento.
Le Sezioni Unite, con sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022, hanno in effetti accolto l’invito e, riaffrontato l’argomento, sono pervenute al seguente principi di diritto:
“In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38, comma 2, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della “vigilanza prudenziale” (cfr. art. 51 ss. e art. 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito”;
“qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario”.
Rimandando, per un maggior approfondimento, all’ampia motivazione di cui alla sentenza ci limiteremo a ripercorrerne a grandi linee il percorso argomentativo.
La linea di partenza é costituita dalla constatazione secondo la quale, non rientrando la fattispecie astratta in una ipotesi di nullità testuale per mancanza di una espressa previsione normativa, occorre indagare se sussistono le condizioni per affermare la ricorrenza di una nullità virtuale. Occorre cioè verificare quali siano gli indici sintomatici della imperatività di una norma tale da consentire al giudice di dichiarare la nullità di un contratto anche nel silenzio del legislatore.
Secondo la Corte “una norma prima di essere imperativa dev’essere prescrittiva di un contenuto, specifico e caratterizzante, inerente al sinallagma contrattuale che possa definirsi essenziale, la mancanza del (o difformità dal) quale renderebbe nullo il contratto (ex art. 1418, commi 1 e 2, in relazione agli artt. 1343,1345 e 1346 c.c.). Non così per le disposizioni indicative di elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto, ovvero genericamente conformativi del modo di atteggiarsi del sinallagma in concreto, che difficilmente potrebbero assumere le sembianze di norme (imperative) di fattispecie o di struttura negoziale: è questo il caso dell’art. 38, comma 2, del t.u.b.
In concreto quest’ultima norma riporta “disposizioni (nel primo e nel secondo comma) non omogenee, essendo diversamente orientate, l’una, a stabilire direttamente e precisamente il contenuto essenziale del mutuo fondiario e, l’altra, ad assegnare all’autorità di vigilanza (Banca d’Italia) il compito di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti che, secondo criteri da definire, le banche potranno concedere agli aventi diritto”.
Altro profilo esaminato dalle Sezioni Unite riguarda il fatto che una norma che preveda un requisito di nullità dovrebbe preoccuparsi di definirlo in maniera chiara ed immediatamente percepibile (“senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili compiute ex post da esperti del settore, come sono invece quelle compiute dai periti cui sia demandato il compito di stimare il bene, ai fini del giudizio sul rispetto del limite di finanziabilità”), laddove nel caso dell’art. 38 del t.u.b. né la norma primaria, né quella secondaria contengono esplicite indicazioni sui criteri di stima dell’immobile.
Peraltro nella norma “non è precisato se la stima debba essere effettuata con riferimento all’epoca di stipulazione del contratto di mutuo (come si dovrebbe, se si discute di validità del contratto) o a momenti successivi, come avviene quando il finanziamento sia rapportato al costo delle opere da eseguire sulla base di stati di avanzamento dei lavori, con conseguente anomalia dell’accertamento di un requisito di validità del contratto (quale, in tesi, sarebbe il limite del finanziamento) a posteriori.”
Le Sezioni Unite confermano poi quanto già espresso dall’ordinanza interlocutoria secondo la quale l’intervento della Banca d’Italia sulla percentuale massima del finanziamento (che peraltro non é assoluto potendo raggiungere il 100% in presenza di garanzie integrative) interferisce sul contenuto del contratto non ‘per aggiunta’, ma solo ‘per specificazione’ di un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto). Resta invece del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati.
Con riguardo alla caratura dell’interesse protetto non appare condivisibile la tendenza da parte dei giudici ad individuare, attraverso il passaggio dal “dogma della fattispecie” al “dogma dell’interesse pubblico”, “sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali (Cass. SU 8472/2022). In tale contesto i canoni e i criteri valutativi “dovrebbero pur sempre essere vagliati preventivamente dal legislatore il cui silenzio, lungi dall’essere irrilevante o neutro, molto spesso é decisivo nel senso di escludere la nullità”
Secondo le Sezioni Unite, infatti, l’assenza di un’esplicita previsione legislativa di nullità del mutuo in caso di superamento del limite di finanziabilità, “costituisce un elemento che esclude una voluntas legis volta a sanzionare con l’invalidità un finanziamento bancario con garanzia insufficiente”, ad eccepire la quale lo stesso mutuatario non avrebbe interesse.
Sotto il profilo di politica economica nazionale le Sezioni Unite rilevano che i profili di interesse pubblico della norma in esame, rivolta principalmente a preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito ed a impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito, non sono sufficienti a contraddistinguerla in termini imperativi.
“Se è vero che qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, seppur disciplinante atti negoziali, ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di “preminenti interessi generali della collettività” o “valori giuridici fondamentali” (così Cass. SU n. 8472 del 2022 cit.), quale non è quello di cui si tratta che mira a preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito, come condivisibilmente rilevato dai precedenti del 2013 (n. 26672 e 27380).
La sentenza a Sezioni Unite, poi, non condivide alcune decisioni (Cass. sez. I n. 11201 e 13286 del 2018) per le quali “l’interesse pubblico connotante il rispetto del limite di finanziabilità dovrebbe essere inteso come “interesse (…) alla corretta concorrenzialità del mercato del credito” e a contrastare “i rischi espoliativi” cui sarebbe soggetto il mutuatario per il pericolo che lo stesso, avendo ottenuto un finanziamento eccessivo, possa subire l’esproprio della residua parte del proprio patrimonio.
“La prima prospettiva non considera che l’interesse pubblico alla corretta concorrenzialità del mercato del credito si realizza offrendo alla clientela maggiori possibilità di accesso al credito e una ampia varietà di alternative nella scelta dei prodotti, risultato questo cui non si perviene con la sanzione della nullità, in contrasto con la ratio del credito fondiario che è “di favorire la “mobilizzazione” della proprietà immobiliare e, in tal modo, l’accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di situazioni di crisi dell’imprenditore” (Corte costituzionale n. 175 del 2004)”.
La seconda prospettiva “omette di considerare che a determinare il paventato rischio espoliativo è l’inadempimento del mutuatario, il quale quando ottiene un finanziamento più elevato rispetto al limite di finanziabilità incrementa il proprio patrimonio anche della somma erogata in esubero e il fatto di doverne rispondere con il proprio patrimonio ulteriore rispetto all’immobile gravato da ipoteca è applicazione del principio generale della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.). “
Dopo aver rilevato una serie di situazioni paradossali che la sanzione di nullità, ove confermata, provocherebbe, le Sezioni Unite, enunciando il principio di diritto sopra riportato, concludono nel senso che la violazione dell’art. 38, 2° comma TUB non comporta alcuna nullità virtuale, “rimanendo la questione delle conseguenze disciplinari nei confronti dell’istituto di credito, cui sia imputabile il superamento del limite di finanziabilità, rilevante sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza, che è questione estranea all’oggetto del giudizio.”
Un corollario significativo legato alla dichiarata assenza della predetta nullità é quello che riguarda la soluzione della conversione del mutuo fondiario in un mutuo ipotecario ordinario, già ammesso a particolari condizioni dall’ultimo contrastante orientamento e suggerito in termini automatici sia dall’ordinanza interlocutoria che dal Procuratore Generale.
Sullo specifico punto le Sezioni Unite esprimono il seguente principio di diritto: “qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario”.
A tale principio la sentenza in esame perviene dopo aver valutato che: a) “Se le parti qualificano un contratto in un certo modo (ad esempio, come “mutuo fondiario”) sussistendone le caratteristiche essenziali identificative, col deliberato proposito di regolare il rapporto secondo la pertinente disciplina, il giudice, in via di principio, non può disattendere la loro qualificazione a favore di una qualificazione (anche parzialmente) diversa ritenuta più adeguata secondo parametri normativi astratti, a meno che la stessa qualificazione non sia specificamente contestata in giudizio (e quindi rimessa al giudice) o ricorrano le condizioni per la conversione del contratto (art. 1424 c.c.), ma ciò presuppone che ne sia fondatamente contestata la validità e non è questo il caso, essendo stata esclusa la nullità del mutuo fondiario stipulato dai contraenti, in relazione a entrambi i dedotti profili del superamento del limite di finanziabilità e della destinazione della somma mutuata a ripianare passività pregresse.”, b) “Nell’ipotesi in cui il giudice riscontri un mero errore qualificatorio dei contraenti nella denominazione di un contratto che presenti i tratti identificativi corrispondenti a un diverso tipo o sottotipo negoziale, la ridenominazione (o riqualificazione) è sempre possibile (anche d’ufficio), non incidendosi sul regolamento di interessi convenuto dai contraenti”; c) “La riqualificazione giuridica del contratto è operazione che presuppone la fedele interpretazione della volontà negoziale, come desumibile dalle dichiarazioni dei contraenti nel testo contrattuale, al solo fine di consentire ad essa di produrre gli effetti programmati, mediante l’inquadramento della fattispecie concreta nel pertinente paradigma normativo, con conseguente allineamento del diritto alla fattispecie negoziale concreta.”; d) “Analoga opera di riqualificazione non è invece consentita per correggere o integrare il regolamento di interessi volutamente e validamente assunto dai contraenti secondo un determinato tipo o sottotipo negoziale per adeguarlo d’autorità a un diverso tipo o sottotipo legale non corrispondente alla loro volontà comune. Non rileva che uno dei contraenti ne contesti poi (infondatamente) gli effetti sul piano della invalidità del contratto, implicando tale contestazione l’appartenenza del contratto al tipo o sottotipo legale conforme alla volontà comune. Contestare la validità di un negozio per contrasto con le norme che lo disciplinano non significa contestare ma riconoscere la qualificazione secondo il tipo o sottotipo di riferimento. e) “sebbene si possa convenire sull’astratta appartenenza del mutuo fondiario al genus tipologico del mutuo ordinario” l’intervento qualificatorio automatico del giudice non sarebbe lecito non essendo consentito all’interprete intervenire (d’ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale non voluto dalle parti, seppure appartenente alla stessa famiglia o genus contrattuale.
Alla luce delle convincenti considerazioni, sinteticamente esposte, utilizzate dalle Sezioni Unite per risolvere la questione, bisogna dare atto all’ordinanza interlocutoria di rimessione n. 4117 del 9 febbraio 2022 di aver individuato nell’orientamento intermedio della Cassazione una serie di criticità che gli interpreti spesso incontravano nelle fasi contenziose.
Afferma infatti l’ordinanza n. 4117/2022 che se è vero che “l’effettivo rispetto del limite di finanziabilità non pone una questione di validità delle dichiarazioni negoziali, ma di «oggettivo riscontro fattuale», e che dunque l’indicazione del valore dell’immobile nello scritto contrattuale non possiede valore costitutivo, è anche vero che, essendo tale verifica affidata ad un accertamento tecnico, la sanzione della nullità potrebbe apparire sproporzionata se ed in quanto fondata sulla verifica di valori di mercato che presentano un certo margine di opinabilità (destinato inevitabilmente ad accrescersi se, come accade nella maggioranza dei casi, l’indagine demandata al ctu viene svolta a distanza di anni dalla data di stipulazione del contratto). Tanto più che nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla stabilità e soprattutto sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato. … Senza trascurare, poi, l’esistenza di un vantaggio obiettivamente sproporzionato per il mutuatario che, per il sol fatto di aver ricevuto dall’istituto una somma superiore a quella consentita dal c.d. scarto di garanzia, realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall’ipoteca; con effetti che ben potrebbero definirsi paradossali nel caso di esecuzione individuale promossa dall’istituto di credito mutuante (atteso che la nullità darebbe luogo all’estinzione della procedura, per il venir meno del titolo esecutivo, anche in danno degli eventuali creditori intervenuti non muniti di titolo), e che appaiono connotati da anomalie anche nel caso di apertura di una procedura concorsuale, in cui l’ interesse dei creditori al rispetto della par condicio anziché essere tutelato con lo strumento della revocatoria (ossia con il rimedio tipico previsto per il contratto in danno dei creditori), verrebbe ad essere protetto attraverso una sanzione di nullità dell’intero contratto derivante unicamente dall’illegittima costituzione della garanzia fondiaria”.
Insomma si tratta di una sentenza che unitamente alle soluzioni di questioni di diritto elimina possibili storture legate sia a valutazioni di carattere tecnico soggette a variazioni nel tempo e sia ad iniqui effetti indiretti.
Avv. Gennaro Iollo